venerdì 17 dicembre 2010

Sulla pastoralità del Concilio, nessun dubbio e nessuna discussione


(Sintesi della conferenza di mons. Brunero Gherardini)

Il Vaticano II non fu, solo perché non doveva esserlo, un Concilio dogmatico e tutto sommato nemmeno disciplinare. Volle esser soltanto pastorale. Eppure, nonostante i tanti interventi interni ed esterni, il genuino significato della sua dichiarata pastoralità è ancora fra le nebbie.

Nell’esortare il clero a farsi di giorno in giorno strumento d’un sempre più idoneo servizio al popolo di Dio, il Vaticano II dichiara esplicitamente che la sua finalità pastorale si ripromette “il rinnovamento interno della Chiesa, la diffusione dell’evangelo in tutto il mondo e l’instaurazione d’un rapporto dialogico con esso”. Una tale finalità corrisponde evidentemente ad un’idea di fondo, ad una nozione almeno rudimentale di pastorale appena adombrata: rapporto dialogico col mondo da parte d’una Chiesa rinnovata nei suoi metodi d’evangelizzazione e d’apostolato.

Papa Roncalli, l’11 ottobre 1962, prospettò ai Padri aprendo ufficialmente la grande Assise conciliare: pur mettendo la dottrina al primo posto dei lavori conciliari, ne diversificò la metodologia rispetto al passato. Prima la Chiesa non rifuggiva dalla condanna, severa e ferma. Oggi alla severità preferisce la medicina della misericordia. Per papa Roncalli, dunque, soprattutto di fronte ad un’umanità prigioniera di tante difficoltà, la Chiesa avrebbe dovuto mostrare il volto buono benevolo paziente della Madre, fomentare la promozione umana dilatando gli spazi della carità, diffondere serenità pace concordia ed amore.

A conferma dell’indirizzo roncalliano, Paolo VI, nell’omilia del 7 dic. 1965 per la nona sessione del Concilio, dichiarò che la Chiesa ha a cuore, insieme con il regno dei cieli, l’uomo ed il mondo, è tutta anzi in funzione dell’uomo e del mondo, intimo essendo il legame tra la religione cattolica e la vita umana, al punto che dell’uomo e del genere umano la religione cattolica può dirsi la vita stessa, grazie alla sua sublime dottrina, alla cura materna con cui accompagna l’uomo verso il suo fine supremo, ai mezzi che gli dona perché possa conseguirlo.S’impone, a questo punto, un giudizio sereno ed obiettivo sulla qualità complessiva del Vaticano II, che affrettatamente ed ingenuamente fu chiuso nell’area pastorale.Chi ha dimestichezza non con la sola Gaudium et Spes, ma con tutt’i sedici documenti conciliari, si rende ben conto che la varietà tematica e la corrispettiva metodologia collocano il Vaticano II su quattro livelli, qualitativamente distinti:

1. quello generico, del Concilio ecumenico in quanto Concilio ecumenico;

2. quello specifico del taglio pastorale;

3. quello dell’appello ad altri Concili;

4. quello delle innovazioni.

Sul piano generico, il Vaticano II ha tutte le carte in regola per esser un autentico Concilio della Chiesa cattolica: il 21° della serie. Ne discende un magistero conciliare, cioè supremo e solenne. La qual cosa di per sé non depone per la dogmaticità ed infallibilità dei suoi asserti; anzi nemmeno la comporta, avendola in partenza allontanata dal proprio orizzonte.

Sul piano specifico la qualifica di pastorale ne giustifica i vastissimi interessi, non pochi dei quali eccedenti l’ambito della Fede e della teologia: p. es. la comunicazione sociale, la tecnologia, l’efficientismo della società contemporanea, la politica, la pace, la guerra, la vita economico-sociale. Anche questo livello appartien all’insegnamento conciliare ed è quindi supremo e solenne, ma non può vantare, per la materia trattata e per il modo non dogmatico di trattarla, una validità di per sé infallibile e irriformabile.

L’appello ad alcuni insegnamenti di precedenti Concili costituisce il terzo livello. E’ un appello talvolta diretto ed esplicito (LG 1 “praecedentium Conciliorum argumento instans”; LG 18: “Concilii Vaticani primi vestigia premens”; DV 1: “Conciliorum Tridentini et Vaticani I inhaerens vestigiis”), talvolta indiretto ed implicito, che riprende verità già definite: p. es. la natura della Chiesa, la sua struttura gerarchica, la successione apostolica, la giurisdizione universale del Papa, l’incarnazione del Verbo, la redenzione, l’infallibilità della Chiesa e del magistero ecclesiastico, la vita eterna dei buoni e l’eterna condanna dei cattivi. Sotto questo aspetto, il Vaticano II gode d’un’incontestabile validità dogmatica, senz’esser per questo un Concilio dogmatico, essendo la sua una dogmaticità di riflesso, propria dei testi conciliari citati.

Le innovazioni costituiscono il quarto livello. Se si guarda allo spirito che guidò il Concilio, si potrebbe affermare ch’esso fu tutto un quarto livello, animato com’era da uno spirito radicalmente innovatore, anche là dove tentava il suo radicamento nella Tradizione. Alcune innovazioni sono però specifiche: la collegialità dei vescovi, l’assorbimento della Tradizione nella Sacra Scrittura, la limitazione dell’ispirazione ed inerranza biblica, gli strani rapporti con il mondo ebraico ed islamico, le forzature della c.d. libertà religiosa. E’ fin troppo chiaro che se c’è un livello al quale la qualità dogmatica non è assolutamente riconoscibile, è proprio quelle delle novità conciliari.

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